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17 mar, 2020

Adblocker - Perchè siamo arrivati a questo?

L’introduzione di un Adblocker Nativo in Google Chrome ha portato con sé dubbi, paure e riflessioni sull’argomento. Proviamo a capire le ragioni dietro a questa scelta e cosa implica per il futuro dell’advertising online.

 

Internet e pubblicità sono un connubio che da sempre accende una lunga serie di discussioni. Protezione dei dati, esperienza di navigazione, targeting, annoying Ads, sono tanti i temi discussi all’interno del mondo dei media online, con un particolare focus sulla buzzword per eccellenza degli ultimi mesi: il tanto temuto AdBlocker.

 

Per quale motivo c’è tanto clamore intorno a questa parola? Dal 15 Febbraio 2018 Google ha introdotto il proprio Adblocker all’interno di Chrome (Il Browser maggiormente utilizzato a livello mondiale) in maniera nativa. Questo significa che il colosso di Mountain View ha deciso di investire nel miglioramento dell’esperienza di navigazione degli utenti andando a bloccare automaticamente determinati formati pubblicitari e alcuni contenuti non in linea con degli standard prestabiliti.

 

All’apparenza sembrerebbe un controsenso. Come può un’azienda come Google tagliare numerose possibilità di remunerazione? In realtà, se si prova ad analizzare in maniera più approfondita la situazione, si può facilmente intuire come la scelta di Big G sia non solo molto sensata ma, anche, lungimirante. 

 

Un punto sul quale poche persone si soffermano é la motivazione di tale scelta. Capire la ragione dietro allo sviluppo di un Adblocker nativo ci può permettere di avere una migliore visione d’insieme sulle strategie dei colossi del web. 

 

Va innanzitutto sottolineata l’irrilevanza di alcuni formati pubblicitari online. Negli ultimi anni, lo sviluppo dei media online ha portato alla nascita di numerosi nuovi formati con una pura ed unica finalità: il profitto. La ricerca spasmodica della remunerazione ha avuto come conseguenza una lenta ed inesorabile mancanza di rispetto di quella che è l’esperienza di navigazione dell’utente finale. Sempre più formati intrusivi hanno causato una perdita di fiducia sull’utilità degli stessi, oltre all’ovvio disturbo causato dal mancato rispetto delle basiche regole di usabilità.

 

Questo fenomeno si è ancor di più accentuato con lo sviluppo del mobile, distruggendo quel concetto di Cross-canalità che poteva (ed è) essere importante anche e soprattutto in termini pubblicitari, ad un vero e proprio punto di non ritorno per la navigazione degli utenti.

 

E’ È quindi facilmente comprensibile, seguendo quanto detto sopra, come l’attività di Google sia quella di favorire e migliorare l’esperienza di navigazione degli utenti di Chrome non solo a livello di UX ma anche nel rapporto con i Media. Una maggiore fiducia e una maggiore chiarezza in tale ambito possono solamente far crescere le interazioni con le varie pubblicità.

 

Lo sviluppo di tale Linea d’azione ha visto Google annunciare il proprio ingresso all’interno della CBA (Coalition for Better Ads) nell’estate 2017. La mission della CBA è quella di migliorare l’esperienza dei consumatori con l’online advertising proprio per preservare la fiducia dei potenziali clienti nei media online garantendo, quindi, la crescita delle entrate per le varie media company.

Più di 40.000 utenti nel solo Nord America hanno partecipato alla survey relativa alla valutazione dei formati intrusivi.

I risultati sono stati estremamente importanti per la definizione di linee guide che vanno a mettere dei paletti non solo su particolari formati ma, cosa molto importante, anche sulla Ad Density, cioè sullo spazio occupato all’interno della pagina stessa da parte del formato in questione.

Le linee guida della CBA definiscono quelli che sono i Publishers certificati che seguono determinati standards (https://www.betterads.org/standards/).

La valutazione da parte di Google viene fatta prendendo una serie di pagine random di un sito in maniera randomica. Come conseguenza possono esserci 3 differenti possibilità:

 

  • Passing (il sito ha superato l’esame di Google)
  • Warning (ci sono dei problemi da risolvere relativi agli standard)
  • Failing (la Valutazione non ha avuto esito positivo)

 

Google eliminerà’ chiunque non si adegui ad essi, lasciando al massimo 30 giorni per rettificare eventuali violazioni e dando la possibilità’ di richiedere, successivamente, un’ulteriore valutazione del sito.

I proprietari dei siti hanno la possibilità di potranno controllare i risultati direttamente tramite Google Search Console nel “nuovo” Report relativo all’esperienza degli Ad (dalla stessa Search Console è possibile fare un’ulteriore richiesta di revisione).

 

 

I formati “incriminati” dalla CBA sono:

 

Desktop

 

  • Pop-up ads,
  • Auto-play video ads with sound
  • Prestitial ads with countdown
  • Large sticky ads.

Mobile 

 

  • Pop-up ads, prestitial ads
  • Ads with density greater than 30%
  • Flashing animated ads
  • Auto-play video ads with sound
  • Poststitial ads with countdown
  • Full-screen scrollover ads
  • Large sticky ads

 

 

La presa di posizione di Google appare sicuramente forte e le conseguenze in termini di monetizzazione saranno molto importanti. Nonostante questo, l’approccio e la strada intrapresa appaiono in linea con quelle che sono le necessità degli utenti finali, soggetti che non contestano la pubblicità online di per sé ma solamente l’uso smodato e senza regole che ne viene fatto. Inoltre, la concorrenza portata da un Adblocker nativo comporta la discesa in campo di Google in un settore che vedeva già numerosi altri players, con la volontà ultima di garantire la salvaguardia sia dell’utente finale che degli advertisers e, ovviamente, una crescita delle entrate per lo stesso Google.

Per salvare la industry, mettere di nuovo al centro l’esperienza di navigazione dell’utente, appare la scelta più saggia che si potesse fare.

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