Dal 3 al 5 settembre a San Francisco, INBOUND 2025 ha segnato un punto di svolta: l’intelligenza artificiale non è più un’ipotesi futura, ma un’infrastruttura che sta già trasformando processi, marketing e modelli di business. In questo articolo analizziamo i punti di vista di Anthropic, HubSpot e le prime esperienze di aziende che lavorano con agenti AI per capire cosa significa davvero, oggi, adottare l’IA a velocità sostenuta.
L’edizione appena conclusa a San Francisco (3–5 settembre) ha avuto un tratto distintivo inequivocabile: l’intelligenza artificiale non è più un’innovazione da osservare, ma un’infrastruttura che sta ridefinendo il modo in cui le aziende operano, crescono e competono.
Se negli anni passati il dibattito si concentrava sul “se” adottare l’IA, oggi la domanda è diventata un’altra: a quale velocità siamo in grado di integrarla nei processi?
Ed è proprio la velocità, insieme alla capacità di sperimentare, il tema che ha attraversato tutta la conferenza.
L’IA come piattaforma: la visione radicale di Dario Amodei
Uno degli interventi più stimolanti è stato quello di Dario Amodei, fondatore di Anthropic.
La sua tesi parte da un dato: i progressi dell’IA nei prossimi due anni potrebbero superare qualsiasi precedente storico. Non si tratta solo di migliorare la produttività, ma di generare scoperte scientifiche e costruire nuove forme di attività economica insieme agli esseri umani.
Un caso concreto è Claude Code, applicazione che ha conquistato rapidamente la community degli sviluppatori. Il motivo? In questo settore l’attrito all’adozione è minimo: chi scrive codice è naturalmente disposto a provare nuovi strumenti, e questo ha creato un ciclo di adozione estremamente rapido. Amodei interpreta questo successo come un segnale di quello che potrebbe accadere in altri comparti: alcuni settori saranno più pronti e cresceranno a ritmi esponenziali.
La sua analogia è potente: Claude potrebbe diventare ciò che AWS è stato per il cloud. Non solo un prodotto, ma una piattaforma di servizi che abilita interi ecosistemi.
La vera sfida sarà mantenere il controllo umano su modelli sempre più potenti: prevenire fughe di dati, injection malevoli, deviazioni dagli obiettivi. È un tema di governance, non solo tecnologico, che le aziende dovranno affrontare fin da subito.
Dharmesh Shah: l’IA non deve solo rispondere, deve agire
Molto diversa, ma complementare, la visione di Dharmesh Shah, co-fondatore e CTO di HubSpot.
Il suo approccio è meno futuristico e più pragmatico: l’IA deve diventare un co-worker, un collega geniale capace di agire autonomamente e non solo di produrre risposte.
Shah descrive l’IA come un “autocomplete glorificato”, un sistema che prevede token su token fino a generare testi complessi. Ma al di là della tecnologia, quello che conta per le aziende è come usarla:
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Strategia dei prompt: sperimentare, iterare, ripetere. Non c’è una formula magica, solo una disciplina costante.
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Contesto come leva: più informazioni e risorse diamo ai modelli, più questi possono restituire valore.
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Dall’output all’azione: l’IA deve eseguire compiti reali, non fermarsi al suggerimento.
È qui che entra in gioco Agent.ai, la piattaforma di HubSpot che conta già milioni di utenti e migliaia di agenti personalizzati. Shah stesso ha creato un agente per preparare il suo keynote.
Il punto cruciale è che non basta adottare l’IA per fare più in fretta quello che già facevamo: bisogna ridisegnare i processi affinché l’IA diventi attore operativo.
La sua conclusione rovescia una paura diffusa: più l’IA si rafforza, più ci permette di essere umani. Automatizza il banale, amplifica la creatività, libera tempo per le relazioni. Non un sostituto, ma un moltiplicatore.
Agenti AI: organizzare il lavoro in modo diverso
Se Amodei e Shah hanno dato visioni strategiche, l’intervento di Siu ha portato sul palco casi concreti.
La sua azienda utilizza già diversi agenti AI per attività operative di marketing. Non è una sperimentazione teorica: è la realtà di un’organizzazione che coordina agenti al pari di risorse umane.
Il risultato? Processi più snelli, scalabilità impressionante e la possibilità di raggiungere fatturati a nove cifre con team molto ridotti.
La lezione per le aziende è chiara: l’adozione dell’IA non è una questione di tool, ma di capacità organizzativa. Senza processi interni ben disegnati, gli agenti diventano gadget. Con una governance solida, invece, diventano leve di crescita accelerata.
Il futuro è il team ibrido: umani e agenti che lavorano insieme
Uno dei concetti più potenti emersi a INBOUND è quello di team ibrido, dove le persone non lavorano più “con l’aiuto” dell’IA, ma insieme ad agenti AI che eseguono compiti operativi in autonomia.
Gli esempi concreti raccontati da Siu lo mostrano bene: aziende capaci di generare fatturati a nove cifre con team ridotti, grazie a una struttura in cui i manager coordinano agenti al pari di risorse umane. Non si tratta di sostituire le persone, ma di ridistribuire i ruoli:
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Gli agenti AI si occupano di task ripetitivi, di automazione e di esecuzione a ritmo continuo.
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Le persone assumono il ruolo di strategisti, supervisori e orchestratori dei processi.
Per le aziende significa passare da una logica di “efficienza incrementale” a una logica di scalabilità esponenziale. Ma questo richiede un cambiamento culturale: i processi devono essere riscritti, i workflow adattati, la governance dei dati potenziata.
Il team ibrido è quindi la vera frontiera: non un laboratorio isolato, ma il nuovo modello di organizzazione del lavoro.
Dal funnel al loop: il nuovo marketing nell’era dei bot
Un altro tema centrale emerso a INBOUND è il superamento del concetto di funnel.
Il customer journey non è più lineare: i clienti non passano da Google al sito, da lì a una newsletter e infine alla conversione. Oggi il percorso è disperso, frammentato, contaminato da interazioni su più piattaforme e soprattutto dalle risposte dei bot AI.
Il fenomeno della “bocca di coccodrillo” lo dimostra: impression in aumento, click in calo. Significa traffico che si disperde direttamente nelle interfacce AI.
La risposta è una nuova disciplina: AEO/GEO (AI Engine Optimization / Generative Engine Optimization).
Non si tratta più solo di contenuti SEO, ma di ripensare tecniche, strategie offsite e sviluppo di applicazioni che possano intercettare e canalizzare l’attenzione degli utenti direttamente nelle conversazioni AI.
Per le aziende questo apre due possibilità:
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Ripensare la produzione di contenuti in ottica “AI-first”.
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Sperimentare canali e formati ancora non codificati, con il vantaggio di muoversi prima dei competitor.
HubSpot e l’AI come infrastruttura aziendale
In questo contesto, HubSpot ha presentato una serie di novità di prodotto: Marketing Studio, Data Studio, Brezze Studio, personalizzazione delle comunicazioni.
Ma il messaggio che le unisce è uno solo: l’IA non funziona senza dati orchestrati.
HubSpot vuole posizionarsi come il repository centrale dove convergono dati, processi e attività operative. Solo così gli agenti AI possono lavorare in modo efficace e affidabile.
Per le aziende significa una cosa semplice: chi non mette mano seriamente alla propria architettura dati resterà indietro, indipendentemente da quanti tool AI proverà a integrare.
Cosa significa tutto questo per le aziende
Il filo conduttore di INBOUND 2025 è quindi duplice:
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Velocità – la finestra di tempo per imparare e integrare l’IA è brevissima. I settori più pronti cresceranno esponenzialmente, gli altri resteranno indietro.
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Sperimentazione – l’adozione non è lineare né garantita. Bisogna provare, iterare, sbagliare. Le aziende che sapranno costruire un mindset di test continuo avranno un vantaggio competitivo decisivo.
Amodei ci mostra la portata trasformativa dell’IA come piattaforma.
Shah ci invita a ridisegnare i processi per farla agire al nostro fianco.
Siu ci ricorda che senza organizzazione interna l’adozione resta sterile.
La sintesi è chiara: non vinceranno le aziende che sceglieranno il miglior modello AI, ma quelle che sapranno integrarlo più rapidamente nei processi e trasformare la cultura interna in un laboratorio permanente di sperimentazione.
Conclusione: la vera sfida è organizzativa
Guardando al futuro, emerge un paradosso.
Più l’IA diventa potente e autonoma, più le aziende devono rafforzare le proprie competenze umane: pensiero critico, capacità di orchestrare processi, velocità decisionale.
L’IA è già realtà, ma non è plug&play. È un moltiplicatore che funziona solo se il contesto aziendale è pronto a sostenerlo.
Il futuro non sarà deciso da chi avrà accesso al modello più avanzato, ma da chi avrà la disciplina di sperimentare, integrare e scalare prima degli altri.
La domanda quindi non è: siamo pronti per l’IA?
La vera domanda è: quanto velocemente siamo in grado di adattarci, prima che lo faccia un concorrente?